venerdì 12 dicembre 2014

Purpureo



E' iniziato tutto con un melograno.

Qualche giorno fa ho finalmente deciso che era ora di sotterrare i bulbi a fioritura primaverile; così ho preso tutto lo strumentario necessario, i bulbi conservati e sopravvissuti al caldo estivo e anche quelli nuovamente acquistati, e sono andata sul terrazzo. Ho portato con me anche i frutti simbolo del sabba passato, una mela annurca e un melograno, che avevo deciso di donare alla Terra come offerta.
Ho diviso tra loro i bulbi: da una parte i vari narcisi, da un'altra i vari tulipani, poi i crochi, le fresie, i giacinti, le anemoni. Ho radunato, poi, i vasi, alcuni con il sorriso di conquista sulle labbra, dato che mi erano stati sottratti (perdendo le piante che contenevano) prima dell'estate. Uno di essi doveva contenere i superstiti bulbi di gladiolo, sempre che non erano completamente marciti nel corso degli ultimi anni, anche se i due esili steli che si affacciavano in superficie mi facevano ben sperare.
Così ho iniziato a scavare, a dissodare la terra, a farle prendere aria. Ho iniziato dal vaso che doveva contenere i gladioli, e li conteneva, caspita se non li conteneva! Non ho avuto l'accortezza di mettermi a contare quanti ne erano, ma erano tanti, davvero tanti che le mie mani non riuscivano a contenerli tutti; ve n'erano di tutte le dimensioni: grandi, medi, piccoli e addirittura piccolissimi, ma tutti sani e alcuni sembravano colonie e impazienti di mettere radici e germinare. E non erano neanche soli: ho trovato altri quattro gigli (come se fossero già pochi quelli che abbiamo), uno grande e gli altri via via più piccoli, che non pensavo neanche di avere visto che nessuno di loro aveva germinato negli ultimi anni. Da quando erano stati trasferiti in questo vaso, gladioli e gigli avevano dormito silenti e nell'oscurità della terra si erano moltiplicati, e mentirei se non dicessi che ero assolutamente stupita di tutto ciò e orgogliosa delle mie piantine. Non volevo perdere neanche uno di quei bulbi dimenticati, così ho setacciato e scavato la terra alla loro ricerca con le mie mani in modo da non romperli o danneggiarli.
Mentre scavavo in quella terra così fredda e umida, mi sembrava di star scavando dentro di me, nel freddo e dolorante animo, come alla ricerca di qualcosa di perduto da riconquistare. Quei gladioli e quei gigli durante le loro emersioni portavano con sé il profumo di tempi migliori, di animi caldi e vivi.
Ho recuperato poi i narcisi, messi alla rinfusa in un vaso di fortuna quest'estate dalla ladra di vasi, e anche lì ho avuto delle piacevoli sorprese: i narcisi avevano tutti superato l'estate e stavano già in fase avanzata di radicamento, alcuni addirittura avevano già iniziato a germinare come se la primavera fosse già alle porte. Come se non bastasse, quel vaso mi aveva riservato un'altra meravigliosa sorpresa: una proliferazione di lombrichi! Lo so, ad una prima impressione i "più sensibili" potrebbero restare alquanto disgustati e sconvolti, ma chi ama e lavora la terra sa quanto magnifici e preziosi questi piccoli esserini possano essere, e capiranno sicuramente quanto fossi entusiasta di vederli sgusciare e fare capolino tra le radici dei miei bulbi: la loro presenza assicurava a quella terra una buona qualità e una buona dose di fertilità e di areazione, così l'ho distribuita assieme ai suoi cari abitanti un pò ovunque negli altri vasi in modo da distribuire e far beneficiare anche tutte le altre piante di tanta ricchezza. Sì ricchezza, perché, anche se potrà sembrare strano, quando ci si trova davanti a questi esserini ci si sente ricchi: ricchi per la quantità di lombrichi che si ha, ricchi per la quantità di terra fertile e buona che essi creano, e ricchi perché questa ricchezza, se la si sa coltivare, può solo crescere e non può sparire da un momento all'altro.
Recuperati tutti i bulbi, sono passata all'organizzazione e sistemazione sia del terreno sia dei bulbi. Dopo aver tolto un buon strato di terreno, ho sistemato sul fondo dei vasi le mie offerte. Ho sotterrato il pomo della discordia, sperando che assieme ad esso fossero accolti anche la mia sfortuna, la mia tristezza, la mia sensazione di inadeguatezza e incapacità, e che fossero tutte trasformate nei loro opposti così da poter superare anche io tutti gli ostacoli che si pongono sul mio cammino con lo stesso stato d'animo e la stessa forza che sostennero e invogliarono Ercole a superare tutte e dodici le sue fatiche e che possano condurmi al mio personale Giardino delle Esperidi e gustare il sapore delle sue mele d'oro. Ho poi spaccato e diviso un magnifico melograno, che doveva essere estremamente gustoso a guardare i suoi succosi chicchi. L'ho prima spremuto un pò per offrire il suo succo purpureo come il sangue alla terra. Ho donato alla terra l'amaro frutto del sacrificio e con esso tutto quello che è scaturito in e da quella fatidica sera: il sacrificio della sicurezza, della libertà, dell'autonomia, del controllo, dell'ordine, della sanità mentale, della felicità, della gioia... ed è allora che ho trovato dentro di me le parole, o meglio l'immagine, che meglio descrive come mi sento e sono dentro in questo momento.

Demeter by Virginia Lee
Mi sento come l'Addolorata Demetra, vago senza meta, incapace di fare altro per troppo tempo, abbattuta dalle proprie disgrazie, stremata, triste, nostalgica per i tempi che furono, sofferente per la perdita della propria Core interiore, in attesa sul filo del rasoio, desiderosa di rivedere la primavera e sentendo il gelo dell'inverno nelle ossa. Eppure proprio come Demetra non mi faccio completamente abbattere e, come lei vaga e va alla ricerca di sua figlia, così io mi butto fuori nel mondo, pur temendolo, sperando che la spinta abbatta e mi faccia sbattere contro qualcosa o mi faccia tornare sui miei passi, nei miei originari panni.
Ho donato alla terra UN frutto, il melograno, che ha in sé il nocciolo (o i noccioli) di ciò che desidero per il futuro: riconquistare ciò che era, ero, avevo. Sono tante le cose che temo di aver perso in questo breve lasso di tempo e che desidero con tutta me stessa riconquistare, e sono tante (e più) come i chicchi del melograno.
Così ho imparato che quando affido alla terra i miei bulbi e i miei semi, le sto affidando anche la mia speranza: la speranza di vedere i frutti del mio lavoro, la speranza di poter gioire, la speranza di poter godere e provare soddisfazione per tutto quello che ho fatto, la speranza di vedere germogliare e fiorire ciò che ho seminato, la speranza di sentir scorrere il sangue nelle vene e l'aria nei polmoni, la speranza di un abbondante raccolto, la speranza di una viva pienezza.
Quel che mi auguro ora è di trovare anch'io sul mio cammino un Hermes ed una Ecate, che mi aiutino e mi portino buone novelle...
E di rinascere anch'io assieme al Sole la notte del Solstizio e che riesca così ad assaporare la magia del Natale e di questo periodo in generale, perché ancora il mio cuore è silente e sembra, a dispetto del passato, non riuscire a essere parte di questo spirito.

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